Amores perros
Anche
stanotte i cani del paese hanno gridato la loro esistenza. Tutte le
notti, questa successione di latrati che non paiono avere scopo riempie
di vita un paese già a letto a combattere il freddo.
Anche
i cani hanno freddo, si riparano negli ingressi nascosti di edifici
rovinati e camminano senza pause per trovare sostentamento. Trascinano,
più che per un semplice passeggiare, i corpi smunti dalla fame e col
pelo castano disordinato. Sono dieci, forse quindici cani diversi e
indistinguibili; sono cani senza futuro e senza padrone, o forse hanno
innumerevoli padroni, che a turno distribuiscono loro un po’ di cibo
sotto forma di avanzi e ne ritardano la fine.
Il
cane di padre Manuel soffre molto, forse ha la rabbia. Ieri lo han
portato dal veterinario in città e ha cominciato una cura di iniezioni,
ma non ho capito bene quale male lo tormenti di preciso. Questo
scodinzola mestamente e tiene un occhio socchiuso e umido di lacrime
involontarie.
I
cani non piangono, credo. Qui, sembrano piuttosto consapevoli della
necessaria condizione dell’animale in un posto povero, quella di
rimanere solo una bestia senza nome. E così abbaiano forte e si mostrano
violenti, quando inseguono le macchine, quando si attaccano tra di loro
e quando si accoppiano.
La notte, con violenza, gridano e a me sembra di non dormirne.
***
L’itagnolo
Riporto una conversazione avvenuta a tavola, in parrocchia, che testimonia il mio conflittuale rapporto con la lingua spagnola.
“Como se llama la vaca en Italia?”, mi diceva Leo, la ragazza che cucina i pasti nella parrocchia.
“Se gliama mucca o vacca”, dicevo io.
“Y como se llama el su hijo?”
“Se gliama vitellino”, non mi veniva in mente altro. Poi ancora io: “Ma el hombre della bvaca, como se disce…”
“El macho” faceva lei
“Ah, sì, el macho, ye como se disce para la femena…la mujera…”
“La hembra” ancora lei, paziente.
“Ah,
bien! Alora… entonses cioè, el macho della bvaca, in Italia, se gliama
bue, ma està el mas nigro con les, como se gliaman estos?” chiedevo
facendomi spuntare due lunghe corna da dietro la testa.
“ Cuernas?”
“Ah
sì, sì”, rispondevo convinto (rispondevo sempre convinto, poi da dove
potessi trarre tutta questa sicurezza rimane un mistero). E continuavo:
“Esto animalo con les cuernas se gliama toro, ès mas grande ye escuro,
se disce?”
“El toro! El macho de la vaca…” fa lei.
“Si
ma es differente porque està el bue ye iel toro.” Avevo già in testa di
parlare del bue e dell’asino della grotta di Natale quando
all’improvviso mi è passata per la testa quella che pensavo fosse
un’illuminazione: “Iel toro es l’animalo que hace las corridas”
Attimi di incomprensione. Ma corrida non era una parola spagnola?
“La
corridas, como se disce…es la manifestacion in espagna donde…” e allora
stavo cominciando a sventolare un invisibile strofinaccio rosso, a
prendere in giro il mio toro immaginario (anche nell’immaginazione,
comunque, ne venivo trafitto)
“Ah… el corrìo de los toros!” urlava lei.
Molto
felice del risultato raggiunto, proseguivo felice e spensierato nel mio
discorso, facendo riferimento alla “discussion che està porque es una
question disumana, se disce disumana?”, “Como porque es disumana?”, “Sì, està la hhiente che le gusta mucho,ma estan alquellos que creono (creono?)
que es disumano matar los toros”, “mi parìa que esta una manifestacion a
Pamplona donde los toros corron nellas pistas de la ciudad”, “Sì, non
nell’estadio, ma nellas pista e…como se puede dir... Antes los toros
està la hhiente que corre e detras los toros”, “A Pamplona, sì, assì mi
parìa”.
“Es una cosa stupida” concludevo. “Se disce stupido?”
***
Los mineros
Anche questo appena trascorso è stato un martedì di sciopero (paro) nella regione di Puño.
“Scioperano
i minatori”, mi spiegava Manuel qualche giorno fa. “Sono minatori che
lavorano molto lontano da qui, a dieci o dodici ore. Una buona parte
degli uomini di queste zone è composta da minatori: per la gente
poverissima il lavoro in miniera è un’opportunità di cambiamento; si
tratta ovviamente di lavoro senza diritti, una terribile speculazione,
però la speranza di guadagno mette a tacere ogni possibile riserva.”
L’accordo
funziona pressappoco così: nei giorni feriali i minatori lavorano
gratuitamente per i padroni dei giacimenti (generalmente imprese
multinazionali); il sabato e la domenica, invece, la miniera rimane a
disposizione dei lavoratori che possono trattenere tutto quanto riescono
a recuperare (sono chiamati mineros informales).
“Non si tratta ovviamente di grossi valori: nella maggior parte dei
casi si parla di poche decine di grammi di oro, ma converrai che sono
uomini che vivono di nulla, per loro è comunque un passo avanti: pensa
che, molto spesso, gli uomini appena sposati partono proprio per
lavorare in miniera e per tre o quattro anni si trovano lontano da casa,
dalla moglie, dai figli.
E’
un fenomeno molto triste e negli ultimi anni ha provocato delle
discussioni enormi all’interno dell’opinione pubblica: non è una
questione di moralità o equità delle opportunità; si tratta di discorsi
che riguardano l’ambiente e la salute degli abitanti delle zone
coinvolte. Vedi, quello che i minatori portano via con sé è materiale
non trattato: è vero, ho detto che riescono a tenere cento grammi d’oro,
ma insieme a quantità di materiali velenosissimi come mercurio, cadmio o
arsenico. E’ un gigantesco pericolo per la salute degli uomini, ma
anche un ostacolo al settore agricolo: l’acqua avvelenata diventa
inutilizzabile per le colture e in posti secchi come questi, la mancanza
di acqua è come la morte.”
E’
diventata una situazione molto complicata: il governo mostra continui
segni di incoerenza e debolezza, mentre la popolazione civile è
preoccupatissima per le conseguenze di scelte politiche assurde, come
questa liberalizzazione delle miniere. Naturalmente le scelte del
governo sono condizionate dagli interessi delle multinazionali
coinvolte: “il Perù è in fondo un paese debole e soggetto ai poteri più
forti di nazioni straniere più ricche. Pensa che nell’ultima campagna
elettorale il candidato (ora presidente) aveva promesso di fermare
questo saccheggio di risorse naturali, il patrimonio del Perù. E cosa è
successo? Qualche mese dopo ha invertito completamente la strategia,
sostenendo le imprese minerarie e opponendosi anche con violenza alle
proteste. Ad oggi, si contano decine di morti a seguito degli scontri
con la polizia: sono meccanismi di violenza incontrollata: la
popolazione sciopera e blocca la vita delle città, la polizia spesso
riesce a provocare parte dei manifestanti spingendoli ad una guerriglia a
base di sassi, lacrimogeni e colpi di pistole; la sopravvivenza diventa
una casualità.”
Oggi
scioperano i minatori informali, perché il governo sembra aver
nuovamente cambiato direzione alla propria politica, cercando di
regolamentare gli scavi e il commercio d’oro: bloccano gli accessi e le
uscite delle città; qui a Juliaca occupano l’unica strada all’altezza
dell’università. Spargono sassi e vetri sull’asfalto e non lasciano
possibilità di passaggio ai veicoli: chi vuole passa a piedi e cammina
per chilometri.
“Se
provi a parlare con i minatori non riesci a far capire loro il problema
ambientale: la salute, gli avvelenamenti non sono interessi primari,
sembra che non riguardino la loro vita. Non capiscono che quello che
mangiano può essere contaminato, che l’acqua che arriva nelle case è
contaminata; addirittura il pesce del lago è contaminato!
Ti assicuro che non è una situazione semplice da risolvere, e la comunità internazionale, come sempre, se ne lava le mani…”
Lo
sciopero blocca la circolazione e crea disagi tipici, ritardi e
malfunzionamenti delle attività. Nel piccolo ambiente del Comedor,
questo si misura in assenze di studenti e difficoltà a garantire un
servizio efficiente. I bambini che vengono dalla città, così come i
professori, sono soggetti alle fluttuazioni della mobilità, e devono
superare il blocco a piedi e aspettare e sperare in una corriera.
Ieri
la Toyota di Padre Manuel ha fatto le veci di scuolabus andando fino al
blocco dei manifestanti per recuperare bimbi e direttrice. In
lontananza, nubi di polvere da movimento confuso e per terra sassi
voluminosi. Accanto alla strada una marcia interminabile di persone,
verso l’università o altre mete più lontane, per fare in modo che la
vita non si fermi e tutto funzioni normalmente, anche se in un clima non
reale.
Alle
otto e mezza il fuoristrada aveva caricato tutti e ripartiva spedito
alla volta di Caracoto: tra sedili e portapacchi, circondati da zaini e
borse, eravamo in quattordici.
***
Sillustani
Il ventinove giugno è la festa di San Pedro y Pablo, un giorno feriado,
cioè non lavorativo in tutto il Sud America, oltre che a Roma. Padre
Manuel è andato a Lima per una settimana e io ho avuto maggiori
occasioni di frequentare altre persone qui a Caracoto.
Johnny
è uno studente peruviano che dorme nella foresteria del Comedor (dove
vivo anche io) e fa un po’ da custode della struttura. Ha ventiquattro
anni, una pelle che pare già segnata dal sole molto forte (Johnny non
porta mai un cappello) e un colorito piuttosto scuro accompagnato da
nerissimi capelli corti sistemati con una frangia sulla fronte.
L’abitudine e la tempra lo fanno muovere con solo una maglietta e una
felpa di pile. Come molti altri studenti di qui, veste molto
all’occidentale, indossando un immancabile paio di jeans. Johnny studia
all’Universidad Andina, vicino a Juliaca. Il direttore della scuola
elementare, Hector, mi ha spiegato che si tratta di una istituzione
privata e non statale, ma con delle tasse abbastanza basse (circa
duecento soles al mese) da riuscire ad attirare quasi ventimila studenti
ogni anno. Il complesso universitario è abbastanza grande e atipico,
con sei o sette costruzioni abbastanza alte e molto moderne che ospitano
le varie facoltà: sono per la maggior parte lauree professionalizzanti,
ingegneria, economia, scienze dell’educazione, diritto, medicina. Altre
discipline più astratte, che pure esistono, sono nascoste in qualcuno
di questi edifici, ma non ne traspare alcuna evidenza perché la
necessità principale di questa regione sembra essere quella di colmare
una deficienza di professionisti specializzati.
Johnny
studia Ingegneria Meccanica-Elettrica, come la chiamano qui.
Contemporaneamente lavora in un’officina (“Esto es el lugar donde
trabajo”, mi indicava un giorno mentre eravamo a Juliaca) per poter
pagare i suoi studi.
“Dopo
la laurea cercherò un altro lavoro”, mi ha detto una sera, “forse mi
sposterò al nord, nella Sierra Madre, io vorrei… proverei… vedremo…”
La
faccia è spesso accigliata e pensierosa, come se dovesse dare conto di
molte azioni e comportamenti. Sembra portare sulle spalle il peso di
doveri più importanti e più vecchi di lui, compresa la responsabilità
più grande di tutte.
Leo e Johnny hanno una bellissima figlia di quattro anni, Natalie, a cui non piace mangiare (comer), ma che è molto simpatica.
***
Il
venerdì di San Pedro y Pablo, allora, Johnny si è offerto di farmi fare
una piccola gita nelle vicinanze. Dopo il pranzo in un ristorante
cinese a Juliaca, siamo partiti verso sud, imboccando la strada che
porta a Puño. Ci muovevamo con l’auto di Padre Manuel, lasciata a
disposizione di chi ne aveva bisogno.
La
prima tappa prevista era una festicciola di un amico di Johnny, Luis.
Questa era in programma sulla sommità di un’altura in mezzo ai campi,
una località di nome Atuncola, a quindici chilometri da Juliaca.
Si
trattava di una festa di famiglia mi spiegavano mentre, abbastanza
incuriosito, mi ero messo a contare la cinquantina di persone che si
stava allegramente spingendo verso l’euforia.
L’organizzazione, quello che più mi stupiva, era già ben collaudata: un’orchestra vestita d’azul
e un sacco di piccole scatole di polistirolo da distribuire ad ogni
invitato che contenevano il pranzo (un pezzo di carne alla brace e
numerose varietà di patate peruviane) con annesse posate. Naturalmente
gioia e litri di cerveza salivano le stesse pendici, con lo stesso passo lento delle donne che si offrivano di portarne su dalla valle.
E’ stata la mia prima cerveza in terra peruviana, ma c’era un sole assassino e non ne ho goduto appieno.
Abbiamo
salutato Luis dopo un paio d’ore, questa volta diretti verso il bacino
del lago Umayo, a trentaquattro chilometri da Puño. Nella penisola del
bacino esistono delle tracce della civiltà Inca, nella necropoli di
Sillustani (1200-1400 d.C.). Le sepolture sono delle costruzioni
particolari come delle specie di nuraghi, dei torrioni in prevalenza
circolari di pietra levigata, chiamati Chullpass.
Il
sole al tramonto regalava dei colori speciali ad un paesaggio che si
riempiva di isola, di torri e di lago. Ogni tanto comparivano i primi
lama, creature vanitose che si mettono in posa ad ogni scatto.
Quel venerdì ho incontrato il mio primo lama, mi guardava e non mi ha sputato.
***
Beh, sarei curiosa di sapere quanti tipi di patate esistano in Perù :) e cmq vorrei aggiungere che san Pietro e san Paolo si festeggia in Perù, nella città del Vaticano e...in Ticino :/ quando ho trovato la biblioteca chiusa e mi son chiesta perché?!!! Pietro? Paolo? festa???
RispondiEliminabaci!
In Perù esistono più di 150 tipi di patate diverse, mi hanno detto; io ne ho assaggiate finora una decina. Devo dire che non mi piacciono tutte. Alcune, si chiamano Chunios, sono patate lasciate gelare (proprio in questo periodo): quando le mangi hanno il colore del ghiaccio e hanno un sapore inesistente: come mangiar neve...
RispondiEliminaGnammm le patate dolci!
RispondiEliminaHugo comunque stai attento ai lama, se sono simili ai guanacos anche nel comportamento sputano quando meno te l'aspetti!
Io se fossi un lama approfitterei della mia nomea per una sputazzata gratis!
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