La fiesta dei campesinos
“Il ventiquattro giugno è la festa di San Giovanni sulle Ande”, mi ha spiegato Vicky, “essa assume dei significati particolari e si fonde con la più importante festa andina dei contadini. Per questo viene generalmente richiamata come festa dei campesidos.”
“Ci
sono due feste importanti durante l’anno”, ha proseguito, “Una è la
festa dei contadini e l’altra è il Carnevale. Questa dura una settimana,
a febbraio, ed è molto sentita anche perché capita con il caldo. Voi
avete il caldo adesso: da noi il verano arriva quando da voi c’è il vierno…
Durante queste feste la gente non fa altro che bere. Tutta la settimana, ballano, cantano e bevono cerveza. Per sette giorni di fila trangugiano litri e litri di cerveza e sono tutti ubriachi. E la stessa cosa succede alla festa dei contadini.
Una
volta era diverso, adesso tutto è sfruttato dai venditori di bevande,
tutto è più commerciale. Una volta, era tutto più spontaneo e ricco di
significati: la gente tirava fuori il vestito buono, e conservava le
bottiglie del vino migliore da condividere con la comunidad; ma era solo un momento simbolico, non un nuovo motivo di incoscienza.
La cerveza
ha avvelenato tutti: questo è un posto poverissimo e la gente conserva i
propri soldi solo per ubriacarsi a queste feste. Finita la birra sono
finiti anche i soldi, e tutto ricomincia da capo, nella terra arida.”
La
festa, come ho scoperto, è anticipata nelle scuole al venerdì. I
bambini sono arrivati conciati con il vestito contadino della festa e
hanno pranzato, proprio alla maniera dei loro genitori, inginocchiati
sul terreno e circondando delle coperte imbandite, sistemate al centro.
Su queste venivano sparsi a grumi i prodotti della terra andina: huevos (uova), papas (patate), abas (delle specie di fave), ocas e chunios (tuberi simili alle patate ma dal sapore più dolce e la consistenza pastosa).
I bimbi con serietà recitavano il loro ruolo e mangiavano nelle scodelle di terracotta, le chuas,
portate per l’occasione; mangiavano con le mani e senza scrupolo per le
buone maniere, ma giocavano anche, sorridendo al Padre Manuel che
scattava loro delle foto. Lo chiamavano da parte e si mettevano in posa
per uno scatto vanitoso, storcendo la bocca in un cenno di sorriso come
un innocente vezzo. In fondo, però, sorridevano tutti perché il sole era
ben caldo e la giornata limpida, e si stava bene.
Sorridevano tutti, in fondo, perché oggi niente scuola.***
Cinco matrimonios y un funeràl
“Mañana tiengo cinco matrimonios”, diceva alla sera del venerdì Padre Manuel.
E’ tradizione, mi spiegava, che il giorno prima della festa dei campesidos, qualcuno si sposi.
“Le comunidad aspettano il giorno di San Giovanni per fare sposare due novios:
porta bene, dicono. I matrimoni, qui in Perù, sono differenti
dall’Italia: qui la festa dura per tre giorni, musica, balli e birra. E
poi non è una festa offerta solo ai parenti, ma chiunque può partecipare
e portare una cassa di cerveza
per la giornata. ‘Se io porto una cassa al tuo matrimonio, allora tu me
ne porterai due al mio’, funziona così, è un ulteriore occasione di
ebbrezza: aspettano i matrimoni con il solo scopo di ubriacarsi. Vedrai en el domingo, quando andrò a fare messa nella comunidad che spettacolo ti si presenterà davanti; vedrai che non si reggeranno in piedi.”
Ed il sabato dei matrimoni, non ho avuto occasione di partecipare ad una di queste feste, ma l’ambiente nel paese era molto allegro e ovunque si sentiva strombazzare di musicanti e colpi di pistola ben auguranti. Le donne sembravano delle bambole decorate con pizzi brillanti di monili e colori vivaci (amarillo, rojo, rosado, azul) che imbandivano le camicie bianche e candide della buona occasione.
Gli
uomini vestivano in completi grigi o scuri, ma portavano gioiose
cravatte celesti e ballavano incoscienti oppure si guardavano intorno
con circospezione. Ogni movimento era scandito dal ritmo sudamericano
deille trombe della banda. Ogni cosa suonava allegra e la sposa vestiva
di bianco.
***
Il vin santo
Arrivata
finalmente la domenica del San Giovanni, Padre Manuel cominciava dal
primo mattino il suo giro di messe nelle più disperse case di Cristo.
Ciascuna comunidad
possiede un luogo consacrato, una rudimentale Chiesa dove, la domenica
della festa, la gente (e il Padre) si inerpica ad ascoltare questa messa
celebrata appositamente per la comunità.
Quella
mattina il Padre mi aveva avvisato, “Guarda che c’è da salire per un
po’ a piedi, non so se farai fatica per l’altitudine”. Devo dire però
che il mate de coca oltre a fare molto bene al mal di testa aggiungeva
delle sicurezze inaspettate alla mia volontà: “Proviamo”, dicevo.
E
fortunatamente non c’è stato il bisogno di faticare perché un cammino,
seppur scosceso, era stato disegnato tra i sassi e i cespugli e il
nostro carro potè così salire la collina senza problemi e con qualche scossone.
L’accordo
sembrava chiaro fin dalle mie prime osservazioni: il Padre portava
breviario, letture e santità mentre ai contadini veniva lasciato l’onere
dell’altare, dell’acqua, della croce; la pancia e la presenza, si
direbbe altrove. A piccoli gruppi e con un po’ di misurata fatica,
questi uomini e queste donne salivano fino alla piccola collina della
chiesa per trovare, se non altro, un ristoro per l’anima.
L’assemblea,
a dire il vero, sembrava non essere ancora comparsa. C'erano invece
solo giovani assonnati e inebetiti che trascinavano dietro strumenti
musicali e un perdurante stato di ubriachezza.
Erano
le nove della mattina e Padre Manuel si muoveva in mezzo al primo
gruppo radunato dicendo che non era possibile continuare così. Predicava
ben prima della predica, di non poter celebrare una messa per una
manica di ubriaconi e che una comunità che vive per l’ebbrezza non può
sperare di sovvertire l’estrema pobreza in cui versavano tutti. Detto questo si levò la tunica impolverata e si mise ad attendere la reazione della comunità.
Da
parte loro, i vecchi più assidui erano increduli e non potevano
accettare un disonore di questo tipo e allora avevano cominciato a
muoversi per una diplomatica riconciliazione. Si accordarono alla fine
con il Padre di tenere da parte i più borracidos,
che non erano in grado di ascoltare la messa, mentre quelli più sobri
avrebbero partecipato con gioia. E così avvenne, in un’altura ventosa e
illuminata dal primo sole che conciliava il sonno e la scarsa
attenzione: una quindicina di persone ascoltavano la messa del Padre
mentre le altre dormivano o stavano sui sassi alla siesta e qualcuno già salutava il mattino con la prima cerveza.
Il miracolo dei pesci
“Tanti
anni fa, qui c’è stata una tragedia terribile”, mi spiegava Padre
Manuel una volta risaliti sull’auto, “Un periodo di piogge alluvionali
che non finiva mai. Pensa che il lago Titicaca aveva invaso terre per
quaranta kilometri rispetto al suo normale bacino.
E’ stato un “diluvio universale”, senza esagerare.
L’acqua
aveva allagato tutti i campi ed era arrivata fino a qui. Era una
catastrofe: allora la gente moriva davvero di fame perché tutto il
raccolto era distrutto e non sapevano di che sopravvivere.
Sì,
ci mandavano aiuti, certo; ma non si fidavano del governo, perché i
funzionari rubavano: di cento che ricevevano, ne tenevano settanta.
C’era molta corruzione all’epoca, c’è ancora naturalmente. Gli aiuti li
mandavano alla Chiesa, li mandavano a me: sapevano che noi aiutavamo la
gente per davvero.
Tu
hai visto la parrocchia. All’epoca era completamente piena di cibo, dal
pavimento al soffitto. Tutto il cibo che mandavano lo tenevano le
parrocchie, e naturalmente lo distribuivano. Arrivava addirittura del
baccalà, qui nessuno ha mai visto il baccalà: ci è toccato spiegare ai
contadini come prepararlo, perché è salatissimo, sai, no?
Allora
una volta dovevo andare in una di queste comunidad proprio a
distribuire casse di baccalà: non ti dico che odore terribile avevo in
macchina… Sul cammino vengo bloccato dai contadini di un’altra comunidad
che pretendono il pesce. Erano affamati, io non potevo farci nulla, ma è
stato molto vigliacco. Mi tenevano da parte, avevano squarciato le
gomme e svuotavano la macchina dal pesce. Io parlavo con il capo della
comunità che mi diceva di lasciar fare, perché con la fame non si può
ragionare.
Allora
mi sono messo ad urlare: ‘Guardate che Dio vi punirà per questo. La
maledizione cadrà sul vostro pesce e vedrete, diventerà salatissimo!’;
quelli allora si prendevano gioco di me, e mi coprivano di insulti. Non
erano gli insulti che mi davano fastidio, quanto la mancanza di
solidarietà.
Il
pesce naturalmente era salatissimo e qui sono molto religiosi, una
religiosità fanatica come hai visto prima: ho detto che non avrei tenuto
messa e i vecchi sono venuti con la coda tra le gambe: ‘Ma Padre, se
non fa messa noi saremo maledetti...’
Fanatici,
dicevo. Sono tornati qualche giorno dopo, dicendomi: ‘Padre, il pesce
non si può mangiare. Faccia qualcosa, ci perdoni…’. Cosa dovevo fare io?
E’ gente fatta così, non puoi stare tanto a questionare.
Ora,
ad esempio, andremo in un’altra comunità, qui vedrai una festa molto
bella. Si riuniscono per ballare e bere, però negli ultimi anni è stata
un po’ viziata dalla modernità. Vedrai comunque delle cose molto
particolari, ci sarà una processione nel campo della festa e questa
seguirà un cammino rettangolare: ad ogni angolo del quadrilatero ci
fermeremo e io dovrò benedire le terre. Il ‘quattro’ è un numero molto
importante in Perù, perché la numerazione anticamente si basava proprio
sul ‘quattro’ e non sul ‘dieci’.
Un’altra
cosa che fanno è di dipingere tutti gli animali con della vernice
colorata. E’ una tradizione, dicono; comunque vedrai, sono immagini
bellissime: tutti i campi pieni di pecore rosse e verdi…”