domenica 12 agosto 2012

Noveno


L’ombelico del mondo



Cusco è stata capitale dell’impero Inca nel suo momento più fiorente, sotto l’imperatore Pachacuteq. Poi gli spagnoli han vinto la guerra impari contro la civiltà andina e ne han distrutto i simboli del potere, le straordinarie costruzioni che l’imperatore aveva fatto realizzare. Pachacuteq era il figlio più illuminato del suo predecessore Virachocha ed ebbe il merito di unire le tribù sparse nella zona sotto la propria egida. La comunità dei Chancha è stata sconfitta in guerra, ma le altre hanno subito il fascino tecnologico e organizzativo degli uomini guidati da Pachacuteq e si sono aggregati con convinzione pacifica.
Pachacuteq ha fatto costruire strade e ha sistemato le strutture di potere in città differenti, per creare un sistema decentralizzato che donasse importanza a molte parti dell’impero, a Machu Picchu, a Pisac, a Ollantaytambo e a Cusco stessa. Ognuno di questi centri aveva la propria funzione e le persone vi si recavano nello spirito della massima efficienza. La fortezza di Sacsayhuamán, alle porte di Cusco, è stata la testimonianza più imponente dello straordinario livello di sviluppo raggiunto dalla popolazione Inca. Oggi ne rimane solo una piccola parte, quello che manca è stato smantellato nell’epoca della Conquista per costruire le chiese o i palazzi militari del centro storico della città. 



Altre testimonianze meglio conservate si trovano nel Valle Sagrado, la valle del Rio Urubamba, a nord-est di Cusco. Si tratta di una serie di centri agricoli o religiosi che ancora oggi mostrano un fascino immutato. A Pisac e a Moray si trovano esempi straordinari delle famose terrazze inca: si tratta di enormi strutture a gradoni che erano sistemate lungo le pendici delle montagne e venivano usate per coltivare i prodotti anche in zone impervie come quelle andine. La differente esposizione alla luce, inoltre, faceva in modo che i vari piani si trovassero a temperature diverse e quindi ciascuno maggiormente adatto alla coltivazione di un prodotto piuttosto che un altro.



Ma il Valle Sagrado è una vetrina incredibile e contiene anche dei templi dedicati al culto del Sole, ad Ollantaytambo.  Qui è possibile trovare delle tracce della mitologia andina nella Chackana, ovvero la croce del sud. Questo simbolo è una specie di scala ripetuta sui quattro lati di un rombo e al centro è sistemato un cerchio vuoto. I tre gradini della scala rappresentano i tre livelli della vita andina, ciascuno rappresentato da un animale: il serpente è il simbolo del mondo inferiore, quello della morte; il puma rappresenta la vita terrestre; il condor è la forma delle divinità, nel livello superiore. Ogni evento cosmico è un conflitto di questi tre mondi e il cerchio, cioè Cusco, cioè l’ombelico del mondo, vuole rappresentare proprio la ciclicità di queste trasformazioni.



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 Cusco mi suggerisce davvero molti pensieri cattivi e per quanto possa sembrare esteriormente splendida ed indimenticabile non mi piace. Trovo che si tratti di un’enorme scenografia, piena di maschere da commedia dell’arte e piena di orde di turisti che la profanano, ma lasciandosi saccheggiare a loro volta.
E’ un piccolo paese dei balocchi circondato da una periferia invisibile e irraggiungibile: il risultato è una grossa varietà di inconsapevolezza da parte di chi la visita, che non può arrivare a conoscerla fino in fondo. L’immagine di Cusco è filtrata da questo insieme di sovrastrutture artificiali e molto moderne che han modificato l’anima della cultura peruviana più antica. Le strade del centro sono come i corsi delle capitali europee e offrono ai visitatori un ampio spettro di scelte, tra multinazionali convenzionali e locali moderni che si ispirano a riferimenti Inca, ma solo nella tappezzeria più superficiale: il resto sono tavoli, luci soffuse, musica occidentale e fiumi di alcool. La birra più comune del Perù si fabbrica proprio qui, la cerveza Cusqueña, e sembra essere l’unico idolo per una buona parte di peruviani e ospiti stranieri. 



Per le strade è un commercio continuo, tra tiendas di dolci, bevande, empanadas e spiedini (antichucos) a qualsiasi ora del giorno e della notte. Altri personaggi camminano un po’ curvi e quando passano accanto sussurrano “Amigo! Coca, mariuana?” in modo che solo il turista possa sentire e rispondere; ma chi vende ha già intuito il disinteresse dell’altro oppure ha semplicemente sentito l’odore della paura e mentre quello sta rispondendo un timido, “No, gracias”, sta abbordando un altro potenziale cliente e non si cura più del suo didietro.
Tutto il giorno, fino alla sera inoltrata – il lavoro dei mercanti di Cusco non ha orari -  si assiste all’esibizione degli uomini delle agenzie di viaggio, o dei camerieri dei ristoranti o delle massaggiatrici. Ed in mezzo a questo universo di persone che spiano in alto alla ricerca di affari c’è un esercito parallelo di occhi che invece guardano in basso alla ricerca di scarpe sporche: sono i lustrini, che portano con sé una spazzola umida e un supporto di legno dove il piede va a posarsi; sono perlopiù ragazzini, ma non fanno buoni affari e le scarpe sporche scappano via quasi sempre, e senza neanche fermarsi un attimo continuano il frettoloso cammino.

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Luoghi meno familiari ma più sinceri si trovano nella periferia.
L’Associacion Civil “GiordanoLiva” di Cusco è uno di questi posti. Si occupa di un jardin dell’infanzia e di un centro culturale che funziona nel pomeriggio, quando l’asilo è chiuso. Si trova nel barrio di Zarzuela, uno dei quartieri brutti di Cusco, sulle pendici dei colli che circondano la città. Di notte questi quartieri più alti regalano un insolito e straordinario spettacolo di luci, quelle azzurre dei neon negli interni delle case, e quelle arancione dei lampioni: mescolate tra loro trasformano la città in un gigantesco albero di Natale.
L’asilo si trova sulla sommità di una strada in salita ed appare come un piccolo arcobaleno nel bel mezzo di un ambiente altrimenti piuttosto grigio. Le aule, il piccolo cortile sono decorati con disegni coloratissimi realizzati dai volontari in visita, e sono realmente dei motivi di allegria. Si trovano riferimenti alle origini andine dei bimbi oppure delle illustrazioni piene di ispirazione che invitano alla fratellanza, al rispetto delle altre culture e alla preservazione dell’ambiente dai pericoli che lo minacciano. 



In questo periodo i bimbi sono in vacanza ed allora ho potuto fare esperienza solo del progetto pomeridiano. Qui arrivano i ragazzini del quartiere, in età da scuola primaria o secondaria, e vengono un po’ a giocare o a completare i propri compiti (tareas) oppure semplicemente a prendere in giro los professores, Percy, Jordi e Sergio. Le ragazze, Alice, Irene e Laura si occupano, invece, di insegnare ai bimbi dell’asilo  durante la mattina: in questi giorni di pausa si sono riunite nella casa dei volontari, lavorando ad un grande pannello di compensato che servirà ad accogliere le foto dei ragazzi che hanno aiutato l’associazione in questi anni e quelli che lo faranno in futuro. Le ragazze sono molto brave e han dipinto una torre di Pisa con la testa in giù, una immagine di Machu Picchu e poi le cartine di Italia e Perù, per simboleggiare nel modo più immediato questa collaborazione prolifica, questo legame di pace.



Percy è il responsabile della struttura ed è un gran giocherellone e i bambini ne vanno pazzi e gli saltano addosso per farsi strizzare o solleticare, anche solo per farsi prendere in giro. Lavora molto, si sveglia presto e fa tante cose per il progetto. Ogni pomeriggio arriva con un sacco di mele che verranno distribuite ai bimbi come refresco, prima di andare via. In questi giorni di vacanza i bambini si sono distribuiti in due gruppi spontanei, alcuni guardando una pellicula nella stanza grande, gli altri aiutando Sergio e Percy a sistemare le crepe con il silicone, a spazzare via la polvere dai pavimenti di legno, oppure semplicemente sporcano di più.
Un giorno Percy ci ha detto che il venerdì avremmo fatto un’opera di pulizia importante e ci aveva convocato per la mattina. Tutto il lavoro pareva semplice da terminare: spazzare, lavare, passare del petrolio sulle assi di legno per preservarle dai danni dovuti alla polvere. Questo semplice proposito non teneva conto di una porta chiusa che non avevo prima notato. “Sì, beh, oggi svuotiamo il ripostiglio”, ci disse Percy aprendo il vano misterioso.



E si spalancò davanti a noi un universo di oggetti sconosciuti, barattoli di vernice vuoti, palloni, tubi di plastica, vecchi compiti degli studenti e altre cose che non avevano realmente un nome proprio se non quello di spazzatura (bassura). E furono quindici sacchi di immondizia e sei intossicazioni da petrolio o da polvere.
Solo i successivi bicchieri di Pisco Sour*, che Percy preparò per il pranzo, ci impedirono di ripensare all’inganno subito.



*il Pisco Sour è il cocktail peruciano più popolare: è una specie di grappa (il pisco) mescolata al bianco dell’uovo, al limone, allo zucchero e al ghiaccio.

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Un altro mercato molto speciale è il Baratillo (baratto vuol dire economico) e opera solo durante il sabato. Jordi doveva comprare delle calamite per realizzare un piccolo esperimento con i ragazzi, una specie di treno a levitazione magnetica. Io sono andato a comprarci qualche souvenir e per visitare un luogo diverso. Jordi mi aveva avvertito di lasciare a casa ogni valore, il telefono, la macchina fotografica e se possibile anche il passaporto. Ero uscito, allora, solo con alcune banconote che tenevo nascoste e la curiosità di osservarmi intorno. Il mercato era molto grande e a malapena si trovava spazio per camminare.
I magneti che Jordi cercava erano presi dagli altoparlanti vecchi e molti venditori li distribuivano, nascosti tra altre cianfrusaglie e pezzi usati. Anche in questo mercato pareva che le cose fossero ordinate in maniera precisa e la maggior parte dei venditori vicini vendevano cose simili. Così l’abbigliamento era concentrato in due traverse parallele, il cibo in altre ancora. C’erano anche venditori ambulanti tra gli ambulanti, che vendevano zucchero di canna estratto sul momento, oppure spicchi di ananas (piña) oppure churrios, delle specie di saporitissimi biscotti fritti.  Al mercato baratillo ci vanno pochi turisti, perché è lontano e non è noto alla maggior parte degli estranei. La mia contingenza di straniero è stata apprezzata così da molti tipi anonimi, che hanno cercato di salutarmi sfiorandomi le tasche già vuote e rivolgendosi immediatamente alle prime bancarelle per depistare la mia attenzione curiosa e ancora incosciente, la stessa dell’uomo che sente un ronzio nell’orecchio ma non vede la zanzara.



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Cusco è una città abbastanza grande da non potersi muovere a piedi verso questi luoghi più periferici; per raggiungerli, allora, si ricorre ai taxi o ai bus cittadini. Questi ultimi vengono chiamati collectivos e sono delle specie di vecchi furgoncini Volkswagen adattati per l’occasione, nei quali i sedili sono ricavati in maniera miracolosa ed occupano spazi inesistenti. Sulle pareti, sul tetto, sono fissati dei tubi di metallo per permettere a chi sta in piedi di tenersi, anche se di solito chi sta in piedi è costretto a guardare in basso e a poggiare la nuca sul soffitto perché l’ambiente è molto angusto. Se l’autista guida, come capita a quelli che fanno il suo mestiere, c’è un altro impiegato dell’agenzia di trasporto che si occupa di controllare gli ingressi e staziona nelle vicinanze della porta dell’autobus; in genere si tratta di ragazzini di dodici o quindici anni che raccolgono anche i soldi dei biglietti, aprono o chiudono l’accesso e quando sono nelle vicinanze di una fermata, urlano una incomprensibile cantilena di nomi che corrispondono alle zone dove si andrà a parare (ma per fortuna le destinazioni del bus sono scritte anche su un pannello dietro al parabrezza). La stessa fermata del collectivo diventa un momento di nervosismo tangibile e di frenesia ingiustificata. Il ragazzo comincia a gridare “Baja, baja, baja!” invitando la gente a scendere con gesti insofferenti e quando ancora gli ultimi si stanno affrettando a farlo, subito quello ricomincia con la sua litania “Sube, sube, sube!”, o “Adelante, adelante, adelante!”per spingere i nuovi arrivati verso i posti posteriori. L’ultimo passeggero ha appena messo piede a bordo e il ragazzo è ancora sul ciglio della strada quando urla all’autista di ripartire e si aggrappa al volo alle maniglie esterne del bus: con la porta ancora aperta, il corpo in equilibrio e la faccia al vento, il ragazzo si nutre di un momentaneo delirio di onnipotenza.



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Machu Picchu



Ci sono posti facili da raggiungere e altri che non lo sono affatto. Ci sono però anche dei luoghi speciali che sono entrambe le cose. Machu Picchu è un santuario inca, il luogo probabilmente più visitato del Sud America: rappresenta la meta obbligata della maggior parte dei turisti e di altri speciali personaggi che fondano la propria vita sul misticismo e credono che le pietre del tempio possiedano dei poteri e un carico di energia spirituale.
La maggior parte di questi visitatori sfrutta una cammino diretto, da Cusco, viaggiando in treni rapidi che tagliano le montagne e arrivano in poco più di tre ore nel paesino di Aguas Calientes, l’ultimo rifugio prima di tentare la salita (tentare la salita in un comodo bus) verso la cima della montagna su cui si ergono le famose rovine.
Ma la Bibbia, come sapete, dice che non sempre la strada più breve è anche quella migliore (e la Bibbia nemmeno fa riferimento alle tariffe dei vari cammini che sarebbe poi un altro parametro, più moderno, di valutazione) e dunque altri viaggiatori più volenterosi si avventurano lungo una via certamente più tortuosa, ma anche molto spettacolare. Questa seconda rotta fa un giro largo dietro le montagne e sfrutta l’azione inconsulta dei piloti di autobus che si muovono spericolati in mezzo a questi tornanti non ancora asfaltati e ne sfiorano l’orlo senza barriere immediatamente prima del precipizio. Il tragitto dura circa sette ore e termina nelle vicinanze di una centrale idroelettrica. 


Da qui si procede a piedi (o con un tram che passa una sola volta al giorno) costeggiando una vecchia ferrovia e un piccolo fiume. La vegetazione è molto più varia in questa zona, principalmente perché l’altitudine è più bassa (circa duemila e cinquecento metri contro i tremila e cinquecento di Cusco) e si vedono già degli esemplari da selva amazzonica, delle piante a foglie larghe, dei piccoli banani. La passeggiata è molto bella e aiuta a dimenticare gli autobus e i treni e tutto il resto, almeno fino ad Aguas Calientes, dove tutto ciò che si era perso si ritrova e le due strade così diverse si ricongiungono: da quel momento tutti gli uomini diventano uguali, vanno a dormire in albergo e aspettano l’alba del giorno dopo, quando insieme percorreranno lo stesso arduo sentiero fino alla cima irraggiungibile.
Lì troveranno Machu Picchu, dove ho scattato trenta foto tutte uguali, pensando sempre di trovarmi di fronte al posto più fotogenico del mondo.

Ma davvero volete che vi parli di Machu Picchu?



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1 commento:

  1. Ma com'è la torre di pisa a testa in giù?no foto?
    Mi sa che a me il Pisco Sour farebbe piuttosto schifo :) puah bianco d'uovo...
    Il tuo viaggio sul furgoncino mi ricorda quelli che mi è capitato di fare in Guatemala tra gallina e bambini malaticci, anche lì c'era un ragazzo che si dondolava fuori dal furgone urlando e caricando passeggeri quasi al volo, in mezzo alla strada.
    E ricordo anche la paura durante i viaggi in pullman °_° altro che dormire...allora Machu Picchu?

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