Senza foto
Ma queste donne peruviane che
siedono ai bordi delle strade, a cosa pensano tutto il giorno? Come fanno a
sopravvivere all’inedia, al tempo che non passa mai. Sono avvolte da pesanti
coperte e paiono solo minimamente indaffarate intrecciando a volte dei maglioni,
o strappando la pelle alle pannocchie di mais. Forse pensano che in fondo non abbia senso affannarsi a vivere vite frenetiche, spinti da bisogni costruiti e da
esigenze secondarie, in un patto a perdere con la propria ambizione. In fondo,
magari, il mondo peruviano non è così diverso da quello occidentale, e in fondo
i giovani peruviani cercano solo di inseguire quello che per loro è il sogno
occidentale (e pian piano ci si avvicinano pure, a partire dalla Coca Cola
Company, che qui distribuisce anche l’acqua da bere, oppure i vari fast food
che mettono radici e avvelenano ogni tradizione).
Le donne di prima, non hanno
coscienza che esiste a Lima un quartiere come Miraflores, fatto di strade
larghe e pulite,alti condomìni con giardino e macchine preziose. Ci sono molti
locali, ristoranti e casinò e tutto costa come in Europa, quando a dieci
chilometri di distanza le persone vivono in delle specie di baraccopoli. Forse si
può dire che è un bene che ci siano posti in Perù più agiati, dove le persone
possono vivere seguendo i canoni di benessere che seguiamo in occidente, però
non sarebbe stato meglio di fare dei passi più piccoli tutti insieme, invece di
alimentare questo squilibrio agghiacciante?
Quello che ora avviene in paesi
come il Perù è una predestinazione delle possibilità del singolo individuo. Se
un ragazzo nasce a Lima può virtualmente fare quello che vuole (almeno in Sud
America), ma se nasce a Juliaca ha già un futuro segnato, e sarà un meccanico, un
contadino, un tassista o se più fortunato sarà un ingegnere poche centinaia di
chilometri più a nord.
Allora lavoriamo sull’educazione,
perché l’istruzione è ciò che può rendere gli individui liberi di
autodeterminarsi. Questo è un punto delicato, perché le scuole e le università
sono figlie dei contesti, e non c’è molto da scandalizzarsi a pensare che a
Lima si concentreranno professori bravi e a Puño dei gruppi di ubriaconi
impreparati. E d’altronde, se davvero esistesse questa capacità di
autodeterminarsi per tutti gli individui, chi potrebbe scegliere spontaneamente
la miseria per il proprio destino (o in altra forma, chi andrebbe a coltivare
campi, chi sceglierebbe di vivere in un Apecar
tutto il giorno, tutti i giorni, facendo il tassista).
Però la libertà di costruire il proprio futuro non
significa garantire la sicurezza di riuscire, ma solo l’offerta di una
possibilità uguale per tutti. Forse questo è il miglior punto di vista, anche
se implica una ciclica gara di sopravvivenza, nella quale gli uomini competono
per occupare i posti migliori: un ricorso alle tendenze precedenti ai patti
sociali; ci ritroviamo dopo millenni con delle prove innegabili di eccezionali
capacità tecnologiche e contemporaneamente non riusciamo a superare questi
limiti, forse istintivi. Il concetto di bene comune passa per la soddisfazione
primaria del bene del singolo: nella nostra cultura non può essere altrimenti,
ma ho il dubbio che le scelte del Sud America siano profondamente condizionate da
spinte esterne che seguono i miti occidentali: io non demonizzo la televisione,
ma qui pare avere un ruolo di reale formazione delle idee e delle aspirazioni e
davvero sembra influenzare la vita delle persone.
Chi lavora per creare alternative
a questa visione non può essere troppo radicale, e allora timidamente si
prodiga ad inventare piccole realtà costruttive in comunità terribilmente
mutilate. Tutti i promotori dei progetti di volontariato, tutti i volontari
fanno un’opera di meravigliosa responsabilità solidale, ma sono sforzi intrisi
di una specie di masochismo: è come curare una rosa in un giardino di sequoie, e tutto il lavoro che il
giardiniere può garantire non sarà sufficiente perché la luce sarà sempre
negata al fiore. Possiamo gioire che esistano persone con una idea differente
del bene comune che scelgono di dedicare parte del proprio tempo ad un
bisogno condiviso.
Sono disperato quando penso che
tutto questo impegno non ha impatto sul mondo.
E mi spavento a pensare che probabilmente
il mondo sia davvero senza speranza, e l’unico vero cammino sostenibile sarebbe quello
di vivere con la consapevolezza di non averne alcuna: a volte penso che questa
sia l’unica speranza da augurarsi.
***
Non posso scusarmi per i miei pensieri scuri,
posso solo prenderne atto e scegliere di comunicarveli.
Posso anche ringraziare chi ha
voluto leggere questo diario: per me è stato molto piacevole e spero sia stato
così anche per alcuni di voi.
Caracas, 19 agosto
2012
Ugo
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